In testa alla Nostra Costituzione troviamo l’articolo UNO, architrave di base su cui poggia tutto il sistema della vita democratica del PAESE: L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. Affermazione di principio che interferisce in qualsiasi aspetto della vita del lavoro, sia pubblico che privato.
IL LAVORO, consacrato a livello universale, è considerato dalle teorie economiche più avanzate il principale punto di riferimento di una società civile e libera. Più è riconosciuto il valore del lavoro in una Comunità e più si amplifica il concetto di dignità dell’uomo, pur nella sua diversa condizione socio-economica. Più lo Stato e le istituzioni pubbliche tutelano e proteggono il principio del Lavoro, più si rafforza l’architrave dell’art. UNO della nostra Costituzione. Dal 1 gennaio 1948, ad oltre 75 anni dalla nascita della REPUBBLICA, il lavoro, nel nostro Sistema democratico, non ha ancora trovato la sua completa carta di identità. Ancora infatti siamo costretti a ricorrere all’ispettorato del lavoro o ad altre istituzioni di vigilanza per segnalare abusi e violazioni. E i morti sul lavoro ne sono la prova. Lo Stato, quantunque il principio sia stato posto a fondamento della Carta Costituzionale, non riesce a dargli completa attuazione! E sono proprio le diramazioni dello Stato a svilirne il valore, imbrogliandolo nel groviglio di un sistema in cui il potere delle autonomie locali si è messo in competizione con quello dello Stato, ampliando la differenza di peso tra diritti e doveri, nello scontro sempre sostenuto tra Regioni e tra nord e Sud. La rivendicata pretesa di Autonomia spinge l’amministratore sempre più a “osare oltre”, a considerare il posto di lavoro pubblico come occasione del potere per scambio di valori, dignità ed altro. Qui lo Stato ha perduto il suo primato e ruolo. Qui i rapporti, le relazioni e i contratti si trasformano in pezze travestite di falsa legittimità per favori e privilegi condizionanti il sistema politico. Qui viene perpetrato il più odioso crimine politico contro il diritto di tutti. E tutto avviene in barba all’altro più importante principio scritto nell’art. 97 della Grande Carta, il quale afferma che la P.A deve muoversi nel rispetto del: buon andamento amministrativo e imparzialità di comportamenti.
Leggi, disposizioni e codici di disciplina, nel rapporto del lavoro del pubblico impiego, finiscono in un macinino in cui vengono tritati con le opportune volontà di un Sistema distratto e fuori controllo. E così vediamo assegnati posti, lavoro e incarichi pubblici come un affare di famiglia o della della propria azienda, senza alcun timore, né rispetto di regole e procedure pubbliche, favorendo carriere e curricula dei prescelti con risorse e danaro pubblico, in danno dei diritti e degli interessi di tutti. Assistiamo, con prassi sempre più ricorrente, a situazioni in cui un dipendente pubblico, di dichiarata disponibilità, si mobilita da una parte all’altra di Comuni in rete, per coprire incarichi e funzioni moltiplicati, arricchiti da più stipendi o compensi, in più posti chiave della stessa amministrazione, di società partecipate, di Enti o soggetti in cui il Comune è parte in quota o capofila. Cumulo e divieti finiscono nella confusione del mondo giuridico senza rispetto di vincoli di destinazione di fondi, di norme o di direttiva ministeriale. Il Dipartimento della Funzione pubblica, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per le pressanti segnalazioni, è stato costretto a postare sulla sua pagina il richiamo della norma, art. 53 del D.lgs. 165/2001, con l’evidenza: “i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato non possono intrattenere altri rapporti di lavoro dipendente o autonomo o esercitare attività imprenditoriali”. Nelle motivazioni il Dipartimento ha precisato che:
il lavoratore non deve essere sfruttato, che la sua capacità produttiva deve garantire la continuità del rapporto stipulato con la P.A, senza trascurare la puntualità dei doveri d’ufficio;
più incarichi oltre a determinare cumulo vietato, possono pregiudicare il principio di cui all’art. 97 della costituzione, (buon andamento e imparzialità).
Il Ministero inoltre ha richiamato l’obbligo della vigilanza su questa materia da parte dell’A.N.A.C,(autorità nazionale anticorruzione), prevista dall’articolo 16 del d.lgs. n. 39 del 2013, secondo cui, la predetta Autorità, ai sensi dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190, può intervenire anche con poteri ispettivi e di accertamento di singoli casi.
Vediamo da dove ha origine la questione della incompatibilità e del cumulo che attualmente ha incancrenito il sistema anche nel nostro territorio, per chiarire a chi legge di comprendere meglio le conseguenze, pubbliche e personali, che possono derivare alla collettività e agli autori dell’abuso.
Troviamo l’argomento, Incompatibilità e cumulo di impiego, già disciplinato nel D.P.R n.3 del 10.1.57 al titolo V, agli artt. 60-65- Qui La materia risulta fissata in modo molto stringente, con regime sanzionatorio anche verso la risoluzione del rapporto di impiego. La differenza è segnata dalla condizione del principio di incompatibilità, assoluta o relativa, secondo il tipo e la funzione del rapporto di lavoro, del tempo e della capacità produttiva. Ricade sul responsabile disciplinare il dovere di vigilare sul rapporto eventualmente intrapreso, nonché sugli Organi di revisione, i quali ex art. 239, comma 1, lett.c T.U.E.L sono tenuti segnalare il caso alla Magistratura contabile, lasciando agli atti referto di adempimento. La normativa pone infatti a carico delle figure indicate l’obbligo della denuncia. L’art. 65 del D.P.R n. 3 vigente è un corollario che non lascia scampo: “gli impieghi pubblici non sono cumulabili, salvo le eccezioni stabilite da leggi speciali”. Il legislatore parla di leggi speciali. Sono queste infatti a disciplinare la materia nei Regolamenti degli Enti. La generica formulazione di autorizzazione a coprire altri incarichi, senza riferimento alla normativa speciale, è attività discrezionale che non ha alcuna validità giuridica.
La materia, per gli Enti locali è prevista nell’art. 53 del D.lgs. 165/2001 e per la disciplina delle responsabilità e delle sanzioni, nel successivo art. 55. I contratti collettivi di lavoro regolarizzano il rapporto, ma non possono superare o accantonare il principio di esclusività imposto dalla legge. Di conseguenza la materia della incompatibilità, del conflitto di interessi e del cumulo, per legge, è sottratta alla contrattazione locale. Nel Codice di comportamento dell’impiego pubblico, l’obbligo di legge è richiamato all’art. 2, come espressamente previsto nell’art. 54 del D.lgs. 165/2001 richiamato.
Il principio di esclusività spesso richiamato come presidio invalicabile è stato affermato allo scopo di evitare che il rapporto di lavoro venisse diluito nelle generiche formule della discrezionalità, incidenti negativamente sulle garanzie di cui all’art. 97. Cost. La P.A, sappiamo, ha il dovere di salvaguardare l’interesse pubblico, senza favori, per osservare il sacrosanto principio di garantire le eventuali opportunità, uguali per tutti i cittadini. Quindi è dovere della P.A non sfruttare il lavoratore, non aggravare la sua condizione di salute, garantire la continuità di efficienza della prestazione pattuita, di estendere la possibilità del lavoro a tutti i cittadini, di non danneggiare le finanze pubbliche. La normativa è chiara. Sono possibili dunque le autorizzazioni a svolgere altro incarico, vedremo quali e come, ma sempre rispettando il principio invalicabile dell’orario previsto per legge (36 o 40 ore settimanali), comparato al trattamento unico, anche se diluito in più incarichi.
Le norme di riferimento, in modo specifico, sono l’art. 53 d.lgs. 165/2001 e l’art. 92 c.1D.Lgs 267/2001.
Dal quadro normativo appare espressamente chiaro il divieto per il pubblico dipendente di svolgere lavoro e incarico con doppio stipendio o trattamento economico aggiuntivo. Eventuali autorizzazioni vanno accordate, per tempo limitato, non in via continuativa, nel rispetto di quanto previsto dal CNN di categoria, assicurando al lavoratore il riposo giornaliero e settimanale. il Dipartimento della Funzione pubblica, la giurisprudenza amministrativa e contabile hanno confermato un solo e conforme orientamento: Il dipendente pubblico ha diritto ad un solo trattamento economico e gli eventuali incentivi devono ricadere nella specifica disciplina prevista dalla normativa di settore. Gli incarichi presso altre strutture pubbliche o di altri Enti, sono soggetti a rimborsi di viaggio documentati, come per legge, con assoluto rispetto degli orari, anche frazionati, e, in caso di convenzioni, le somme vanno versate nelle casse dell’Ente principale, per quote corrispondenti al trattamento economico, rapportate all’orario impegnato( Unico è il trattamento economico, per l’orario contrattuale stabilito, frazionato in diversi incarichi, con limite di funzionalità ed efficienza delle ore stabilite per legge). Le conseguenze, in caso di violazione? Responsabilità amministrative, contabili e penali, per tutte le figure ed organi che non hanno vigilato e controllato, con restituzione delle maggiori somme riscosse e risoluzione del contratto di lavoro, in caso di gravità. Negli Statuti degli Enti e delle Società sono richiamate le norme di cui sopra ai fini del divieto.
A sostegno di quanto sopra, riporto di seguito uno stralcio del parere del dipartimento della funzione pubblica, azione sollevata da due consiglieri dell’Unione dei Comuni alto Cilento.( cit.8.1.2015-Presidenza Consiglio dei ministri) – “gli eventuali compensi incentivanti debbono obbligatoriamente transitare nel fondo per le risorse decentrate, fondo nel quale possono confluire le risorse che specifiche disposizioni di legge finalizzano alla incentivazione di prestazioni “ art. 15, c,1, lett. K del CNNL, comparto autonomie locali. Al di fuori dalla predetta prescrizione, gli incrementi si ritengono illegittimi…” Gli incentivi a titolari di posizione organizzativa non competono in quanto la retribuzione di posizione e di risultato assorbe e comprende ogni trattamento accessorio., ivi compreso il lavoro straordinario. Pertanto………ai titolari di posizione organizzativa non possono essere legittimamente attribuiti altri ed ulteriori compensi.” Fto A. Amodeo…(non riportiamo il documento per intero per evitare problemi di privacy, anche se lo stesso riveste carattere e condizioni di pubblicità).
Da Via Campanina di Agropoli, 14 marzo 2023
Gerardo Spira
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