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L’ASTENSIONE DAL VOTO DELL’AMMINISTRATORE PUBBLICO EX ART. 78, C2,TUEL 267/2000

Di Gerardo Spira


Cercheremo di chiarire questo aspetto della vita pubblica attraverso il percorso in cui la volontà dell’amministratore si forma e si manifesta positivamente, negativamente o con l’astensione. L’astensione dal voto, croce di profonde discussioni dottrinarie, può essere facoltativa e obbligatoria. La prima, spogliata dei sospetti di interessi personali, è generalmente politica, e vale a far passare, docilmente, una proposta in discussione; La seconda (astensione obbligatoria), normata come obbligo dal legislatore, costituisce il presupposto fondante di legittimità per la validità dell’atto in decisione. Questo momento è quello in cui il risentimento della comunità diventa rumoroso malessere, nascono e si sviluppano le responsabilità amministrative, contabili, civili e penali dell’amministratore individuato. Esaminiamo questa fase più in particolare.

Quando parliamo di amministratori pubblici ci riferiamo a quelli indicati nell’art. 77, c 2, TUEL 267.

E chi sono!

“Per amministratori si intendono, ai soli fini del presente capo, i Sindaci, anche metropolitani, i presidenti delle province, i consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province, i componenti delle giunte comunali, metropolitane e provinciali, i presidenti dei consiglieri comunali metropolitani e provinciali, i presidenti, i consiglieri e gli assessori delle comunità montane, i componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, nonché i componenti degli organi di decentramento”.

Quando il pubblico amministratore mette, con interesse personale, il pensiero e le mani sulla cosa pubblica scoppia il caso che si trasforma in forte irritazione sociale per gli obbrobriosi sotterfugi a cui lo stesso ricorre per favorire parenti e familiari, sfidando talvolta anche spregiudicatamente la legge che impone, sull’argomento interessato l’astensione obbligatoria. Nel principio di astensione obbligatoria è il tarlo che porta a tutte le considerazioni giuridiche e politiche. Dal sospetto nascono le conseguenze che rompono fragorosamente il mondo della politica e quello amministrativo, contabile e penale. Appartiene alla responsabilità personale dell’amministratore manifestare chiaramente la sua volontà e non si salva l’organo collegiale che partecipa condividendo la discussione e decisione dell’argomento. Il legislatore della riforma dell’Ordinamento degli Enti territoriali e locali, avendo compreso la importanza della questione, al fine di garantire gli aspetti generali e gli effetti imparziali dell’atto in argomento, è andato oltre la cultura del sospetto, disponendo all’organo deliberante l’obbligo dichiarato di dare atto, nei provvedimenti da adottare, dell’assenza di conflitto. Assenza riferita non soltanto ai componenti tra loro, ma a quella presunta tra amministratori decidenti e i beneficiari. Questa dichiarazione vale a salvaguardare la validità e gli effetti dell’atto. Fatti, luoghi e persone sono elementi fondanti dell’argomento da cui scaturiscono finalità da raggiungere. Qui è la chiave di volta del significato del voto di astensione del pubblico amministratore. L’argomento diventa di grande importanza per le conseguenze che incidono sulla validità degli atti pubblici in generale, sul rapporto di credibilità della P.A e sui rapporti della vita sociale. Sono momenti solenni la partecipazione e l’espressione del voto di un amministratore pubblico. In questi momenti il Presidente di un organo pubblico, il Sindaco, il componente di Giunta e il Consigliere comunale, sono, per legge, pubblici ufficiali incaricati di svolgere funzioni di pubblico interesse. Atti di pubblico interesse sono atti di tutti i cittadini di una comunità, non di uno o di pochi, né di un parente o familiare.

Il legislatore, in considerazione di questi aspetti, richiamandosi ai principi costituzionali di cui agli artt. 97 e 98 ha recintato il voto di astensione con una norma di presidio, chiaramente espressa nell’art. 78, c2 TUEL 267/2000.

L’art. 78, c 2, Tuel 267 dispone: “gli amministratori di cui all’art. 77, comma 2, devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. L’obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministrazione di parenti o affini fino al quarto grado”.

Astensione obbligatoria dal prendere parte in entrambi i momenti, dalla discussione e da voto (momento legato). Nel caso di interessi propri o di suoi parenti o affini l’amministratore deve assentarsi dalla discussione e dal voto. Condizione questa che deve risultare dal verbale per dichiarazione espressa.

La deroga è prevista soltanto nel caso di provvedimenti generali o di carattere normativo, sempre che questi non abbiano una correlazione immediata e diretta tra il contenuto deliberato e gli interessi specifici di parenti e affini fino al quarto grado. Il problema è in quest’ultimo passaggio che presuppone la conoscenza responsabile dell’argomento in discussione. Il semplice pensiero che il provvedimento possa interferire con un interesse personale comporta l’obbligo per l’amministratore di astenersi in tutte le fasi, dalla formazione alla decisione finale. L’elemento psicologico è l’anima potenziale di interferenza.

Esaminiamo la portata del concetto di voto di astensione come espresso nell’art. 78, c2. La formulazione va considerata alla luce di tutta la normativa evoluta dal 1990, di riforma delle Autonomie locali. Autonomia e indipendenza sì, ma nell’ambito e nei limiti dei principi della legislazione Europea e statale. Il corollario di riferimento italiano è l’art. 97 della Costituzione (buon andamento e imparzialità). L’amministratore che partecipa alla formazione e adozione di un atto pubblico deve farlo secondo un percorso logico, astrattamente giuridico per garantire buon andamento e imparzialità di risultato. I momenti della partecipazione dell’amministratore sono due: la discussione e il voto. Determinante ai fini del potenziale conflitto di interessi è la partecipazione alla discussione, momento questo in cui si esprimono ragioni e convincimenti. È questo il primo passaggio in cui l’amministratore discute dell’argomento documentato e istruito. La sola presenza, silente, costituisce potenziale interesse all’argomento trattato, e in questa fase ne condiziona il processo formativo fino all’esito finale. Il voto è conseguenziale per l’intero collegio. È la partecipazione che condiziona psicologicamente la decisione. L’interesse potenziale genera la condizione del conflitto di interessi e quindi l’obbligo di astensione.

Il conflitto di interessi, entrato a pieno regime nel nostro Ordinamento, è dunque considerato l’aspetto centrale di tutta la discussione, più o meno accesa di un affare della vita pubblica, che spesso porta a scontri anche di forte incidenza sul clima del confronto. L’interesse potenziale, va anche oltre il limite della parentela del quarto grado, quando la strategia procedimentale è orientata a favorire parenti e familiari. È L’interesse potenziale che suona la sveglia del magistrato e lo spinge a rovistare nel procedimento per scoprire gli eventuali elementi di collegamento tra l’amministratore che ha deliberato e il parente favorito. La partecipazione dell’amministratore alla confezione dell’atto, più che il voto, diventa la chiave di volta del conflitto di interessi. È questo il momento di maggiore attenzione sull’argomento in discussione. Il provvedimento così discusso e adottato, determina la nullità assoluta dell’atto per violazione del principio richiamato nell’art art. 78, c2 tuel (astensione obbligatoria). La semplice presenza, anche silente, è condizione psicologica che inficia tutto il procedimento fino alla conclusione. Ai fini penali scatta l’abuso di ufficio, ora in discussione con la proposta abolitiva del ministro Nordio. A tal proposito riteniamo che non sia l’art. 323 del C.P l’anomalia per l’abuso di ufficio, ma il sistema di gestione e di conduzione delle indagini, dirette dal magistrato a cui è riservato il potere di disporne l’approfondimento. L’immagine pubblica del fatto votato assume valenza secondo l’affidabilità e la credibilità di tutto il sistema istituzionale coinvolto.

Il dolo, specifico, è la volontà cosciente che identifica il comportamento di un amministratore nella discussione di un argomento di interesse. L’astensione, per il suo significato, porta a sospettare sui motivi della partecipazione e del voto espresso. L’obbligo di approfondirne le indagini è proprio nel dubbio insinuato dal legislatore.

La Cultura della legalità inizia dai luoghi in cui gli Amministratori nominati o eletti muovono beni e risorse della cosa pubblica. Da qui nasce la credibilità dello Stato di diritto e di conseguenza di ogni Ente territoriale e locale.

La cosa pubblica non è cosa privata di famiglia!

Gerardo Spira

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