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La pagina di Gerardo Spira

Avvocato senza condizionamenti "Una sola è la verità"

Immagine del redattoreGerardo Spira

La Cassazione cambia pensiero “carissimi figli. Cercatevi un lavoro!"

Ci voleva il Covid per attivare la riflessione dei Giudici della Cassazione? Il 14 agosto 2020, quando i giovani si davano alla pazza gioia nelle balere e nei luoghi di movida, la prima sezione della Cassazione, forse stanca di sentire e leggere notizie sulla crescente e diffusa irresponsabilità dei giovani in periodo di pandemia da Covid 19, ha partorito una pronuncia storica sul mantenimento della famiglia separata, che capovolge “una teoria” che ha consentito, da moltissimi anni, a tanti figli di pesare sul groppone dei sacrificati genitori, con la scusa della insufficienza economica.

Con l’ordinanza n.17183 del 14 agosto 2020, in corso di pubblicazione, I Giudici della Cassazione hanno cambiato pensiero: “è specifico dovere del figlio, ormai uomo, “ridurre le proprie ambizioni adolescenziali” cercando un modo per mantenersi anche se non in linea con il lavoro da lui preferito”.

Il caso, cambierà la filosofia del diritto su cui ha fatto leva la maggior parte dei figli di separati, in cerca prolungata di lavoro.

Il caso riguarda una madre che contestando la decisione della Corte di appello di Firenze la quale aveva revocato sia l’assegno corrisposto dall’ex marito in favore del figlio e sia l’assegnazione della casa coniugale. Il caso riguarda un professore trentenne, come tanti altri, inserito nei ruoli della scuola come precario, con un reddito personale accertato di circa 20 mila euro annui. Per la condizione di spostamento scolastico anche la casa assegnata in coabitazione con la madre veniva usata saltuariamente. Tra l’altro la Corte di appello aveva fatto notare, in sentenza, che in tutti i paesi del mondo, tranne che in Italia, a trent’anni un figlio è fuori dalla dipendenza economica della famiglia. Né, era motivo valido la condizione di disoccupato del figlio, perché, ha sostenuto la Corte, questa può colpire qualsiasi lavoratore. Infatti, riportava, il padre del prof, per la chiusura del negozio di famiglia, finito disoccupato è stato costretto a ritornare presso la propria anziana madre per sopravvivere. in Italia questa situazione è ricorrente.

Il ripensamento normativo ha portato i Supremi Giudici a rivedere il concetto di autosufficienza nelle questioni di assegno di mantenimento. Per la Cassazione, oltre i trent’anni non vi è più obbligo di mantenimento del figlio, in relazione alla raggiunta capacità di mantenersi, che da questi è ritenuta presunta.

E qui è la svolta interpretativa che se da un lato costituisce finalmente un passo avanti nel difficile mondo della famiglia separata, dall’altro apre la discussione su di un altro aspetto: Quello della capacità presunta. Possono considerarsi compatibilmente coerenti trent’anni per chi ha concluso un percorso di laurea finito bene, ma possono ritenersi tali anche gli anni meno di trenta, per chi ha concluso il percorso scolastico, senza impegnarsi a cercare un lavoro. Caso per caso, va bene. Ma è molto importante la situazione e la condizione di impegno di ognuno. Quali sono gli aspetti e gli elementi che il Giudice deve tener presente per giudicare la capacità autonoma al mantenimento?

Noi riteniamo che nella legge esista il filologico che conduce ad una decisione equilibrata “senza favori”. Basta percorrerlo senza predisposizioni di genere. Nel caso esaminato ci troviamo di fronte ad un professore che, come tanti altri giovani laureati, ha seguito la trafila burocratica della scuola. Situazione che tocca tutti i giovani, compresi quelli appartenenti a famiglie non separate e sicuramente appartenenti alla famiglia variegata della società contemporanea. Non dimentichiamo che vi sono tantissimi giovani provenienti da famiglie di scarso reddito, che per non pesare sul critico bilancio familiare continuano a studiare e si adattano in lavori precari molto difficili nei servizi del terzo settore. Il ragionamento della Cassazione va applicato sempre e soprattutto per quei casi di figli, che, approfittando dell’assegno di mantenimento, continuano a bivaccare sulle spalle del genitore che lo mantiene e deve farlo per forza di legge, senza impegnarsi a trovare un lavoro o manifestare di volerlo cercare come prospettiva di vita personale. Anche il corso degli studi ha un limite, oltre il quale un figlio non può e non deve andare. Se lo fa, senza giustificato motivo, va ripreso dal Giudice e posto nella condizione di meritare il diritto al mantenimento. Il diritto al mantenimento non deve intendersi in modo assoluto ed inderogabile. Esso ha valore sussidiario di sostegno, in presenza della incapacità accertata del beneficiario a produrre reddito. Categoria questa molto limitata. Non scomodiamo la legge! Un genitore, come tale, non può divenire la cavia di situazioni di speculazioni e sfruttamento prolungato, garantite da una giurisprudenza di favori di “collocamento” di genere. La norma in queste situazioni dice che il Giudice, nei casi di separazioni, “può” disporre l’assegno di mantenimento, ma non “deve”. Il principio della facoltà non è un criterio attribuito dalla legge al Giudice con possibilità applicative illimitate, ma un punto di riferimento costruito attraverso l’esame concreto di fatti positivi che danno fondamento alla decisione.

La Corte di Cassazione infatti con l’ordinanza in discussione ha chiarito molto bene il concetto dell’assegno di mantenimento nei confronti del figlio maggiorenne, subordinandolo alla una valutazione di circostanze come: la durata effettiva del percorso di studi, la coerenza dello stesso con le possibilità economiche dei genitori, l’impegno a cercare un lavoro retribuito a fine studi, l’impegno compatibile con l’età. La valutazione è legata all’età del beneficiario, evitando che finisca in parassitismo in danno dei genitori sempre più anziani (costante giurisprudenza). La mancanza di un lavoro, in certi momenti, non può significare impossibilità a mantenersi da soli.

Il supremo giudice civile passa, con questa ordinanza, dal principio del diritto al concetto di dovere, dal principio dell’assistenzialismo a quello della responsabilità, principio sempre più sollecitato nella società che si va affermando con l’evoluzione dello Stato dei diritti e dei doveri diffusi.

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