di Gerardo Spira
Tra il mese di aprile e maggio di quest’anno compare sul filo della mia posta elettronica la notizia di un giovane collega il quale mi informava che da Roma due minori erano stati rapiti, in gran segreto, al padre, Clown di circo, in seguito alla denuncia della compagna, scomparsa pure lei con loro. Il genitore presentatosi ai carabinieri per denunciare il fatto, viene a conoscenza di notizie frammentarie e vaghe, circa l’allontanamento coatto dei tre in luogo sconosciuto e segreto. La gravità del pericolo non aveva consentito alle Autorità di informarlo. Così si rivolge ad un avvocato per venire a capo della situazione. L’avvocato, preso dal fatto, nonostante i suoi contatti con gli organi giudiziari e di polizia mi informava che L’evento veniva sottaciuto e tenuto in un’atmosfera nebulosa. Trascuro gli effetti sentimentali del fatto e le conseguenze sulla vita di particolare lavoro dell’uomo. Il clown è l’artista del circo equestre più capace di penetrare nei sentimenti della vita sociale. Il colpo inferto a quel genitore è stata l’azione più atroce e sconvolgente di una condanna a morte. Purtroppo, in questa società vi sono interessi che travolgono anche i sentimenti dei bambini. Il legale dopo rabbiose insistenze è riuscito ad ottenere un provvedimento del Tribunale per i minorenni di Roma che conferma la legittimità della decisione adottata, senza notificargli il provvedimento adottato. Senza conoscere dunque l’Autorità che lo ha emesso e i motivi della stessa. Al legale quindi viene impedito di fatto di fare il suo dovere. Ci troviamo in una di quelle fasi in cui l’urgenza e la cautela diventano gli strumenti a cui l’Autorità pubblica ricorre come estrema ratio, senza che il cittadino possa difendersi. Tutto resta al buio e nel buio si muovono, a loro piacimento, organi e Autorità coinvolte. Poi si vedrà! Così e accaduto, infatti, in alcuni momenti della storia in cui sono stati fatti scomparire esseri umani i cui resti sono venuti alla luce a distanza di anni. Questi momenti sono stati definiti anche di estrema pazzia. Il diritto e la Giustizia sono altra cosa, perché parliamo di diritti e i diritti non si possono sopprimere o nascondere. Il fatto di Roma, dopo sei mesi rimane ancora avvolto dal mistero giudiziario.
Sequestro o rapimento? Improvvisamente scoppia il caso. I tre, madre e figli” erano stati collocati in una struttura segreta in Sicilia, chiusa poi dalla magistratura palermitana per maltrattamenti di minori. La notizia finisce, con grande clamore, nella cronaca giudiziaria. Chi ha indicato quella struttura? Chi ha convalidato senza i dovuti controlli? Il legale cerca affannosamente di sapere dove sono stati ricollocati i tre. Niente da fare. I telefoni, colorati e non, squillano in segreto per mantenere la notizia e le tre persone riservate. Madre e figli, con un altro provvedimento, sempre riservato ed urgente, vengono trasferiti un’altra struttura che non è dato conoscere. Si sa solo che è stato emesso un provvedimento cautelare ai sensi dell’art. 403 del c.c. Nessuna traccia del provvedimento e quindi dell’autorità proponente.
Fin qui le notizie. Poi la nebulosa si fa sempre più chiara e si viene a sapere che la sig.ra, madre dei minori, di nazionalità straniera, aveva contattato un avvocatessa(?) di Roma, del giro, la quale attraverso un’associazione antiviolenza (dalla stessa diretta e gestita?!) e collegata ad uno dei famosi telefoni colorati di Stato aveva curato tutto l’affare. Non entriamo nel merito della questione denunciata. Questa rientra nelle competenze della magistratura. Intendiamo invece trattare l’argomento dal punto di vista della necessità e urgenza giuridica perché, il disimpegno del tribunale, in specifica materia, a nostro avviso, concorre a sfaldare valori e principi della famiglia, espressamente definiti nella Costituzione e nelle leggi.
Pensiamo quindi che vi siano ragioni e motivi(?) tendenti ad eludere l’interesse pubblico per favorire case e luoghi in cui senza alcuna garanzia statale vengono “deportati” tanti minori, rapiti e allontanati dalla vita sociale, con la generica formula del pericolo grave.
Pesano sulla coscienza dei Tribunali per i minorenni migliaia di allontanamenti e affidamenti, segregati in case o comunità protette o nascoste, gestite, attraverso la proliferazione delle leggi, sotto la generica sigla di “anti che sta per contro”. Parliamo di un sistema organizzato, legalizzato, sulla metodologia di quello che ha fatto la fortuna di altre “famiglie”.
I dati sono del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 2012, fermi al 2010, Mancano 7 anni di aggiornamento. Secondo il Ministero fuori dalla famiglia originaria, risultano collocati oltre 40.000 bambini presso famiglie affidatarie o comunità. Di questi circa il 50% vive fuori famiglia da oltre 2 anni. La percentuale più elevata risulta quella di bambini allontanati per “inadeguatezza genitoriale” (?). I motivi dei provvedimenti, firmati da giudici togati risultano “economici, abitativi e lavorativi”. Tra le pagine dei codici molti magistrati, per carità provenienti tutti, o quasi, da pubblico concorso, hanno disperso l’essenza giuridica del diritto dei minori.
Sono state preferite case famiglia o comunità “protette” alla famiglia dei nonni e dei parenti stretti e a quelli senza figli. (Evoluzione moderna del concetto di famiglia!)
Spesso rinveniamo contraddizioni nell’applicazione normativa che riguarda la tutela del minore. Ci hanno insegnato e noi lo facciamo con i nostri figli che il minore ha il diritto di essere educato e di crescere nella propria famiglia. Principio ampio come è dichiarato in tutte le leggi nazionali e internazionali dei paesi civilizzati. Quelli non civilizzati rispettano, ancora di più, il valore della famiglia, secondo diritto naturale.
Secondo la Corte Europea nei paventati conflitti di rottura del legame tra minore e famiglia il provvedimento del giudice deve essere applicato soltanto in via eccezionale, perché si tratta di una misura residuale (estrema ratio). Le valutazioni generalmente svolte nei provvedimenti secondo l’art. 403 del C.C risultano eccessivamente arbitrarie e affrettate, fondate su qualche comportamento o segnalazione, non verificati e non indagati. I provvedimenti giudiziali urgenti, all’impatto della lettura, appaiono una vera e propria rapina della persona dal mondo del diritto.
Leggiamo invece cosa dice il nostro Ordinamento giuridico in materia!
Tutto il corollario sulla famiglia ruota sul diritto e sulla tutela del minore a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia, principio affermato dalla legge 184 del 1983(detta anche legge di disciplina dell’adozione e affidamento dei minori) modificata con integrazione dalla legge n. 149 del 28 marzo 2001.
L’art.1- comma 1, novellato, della citata legge detta” Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”.
Il comma 2- “Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto”.
Il comma 3- “Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell’opinione pubblica sull’affidamento e l’adozione e di sostegno all’attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma”.
Dunque la norma, obbliga lo Stato, le Regioni e gli enti locali a promuovere programmi e iniziative perché il minore cresca e venga educato nell’ambito della propria famiglia. I servizi sociali debbono essere formati per tale finalità.
Il diritto del minore a restare nella famiglia, è sancito “intangibile ed inviolabile”. Obbligo di tutti, compresi genitori, istituzioni e Autorità pubbliche, è di tutelarlo e garantirlo.
La normativa di riferimento, da quella costituzionale, art.30, a quella specifica, 147 c.c. come diritto non frazionabile, è volta ad assicurare lo sviluppo della personalità del minore attraverso il diritto all’istruzione, all’educazione e al mantenimento. La famiglia, è il mezzo attraverso cui si sviluppa la personalità dei suoi componenti e soprattutto del minore (principio affermato nella convenzione dei diritti del fanciullo New York 1989).
L’evoluzione dei principi ha seguito la normativa europea la quale parla della responsabilità genitoriale (Reg. Eu n.2201/2003) in termini di rapporti dei diritti. Il minore infatti è ritenuto soggetto attivo di diritti nei confronti dei genitori.
Nel contesto affrancato dei diritti e dei doveri lo Stato ha l’obbligo, attraverso le sue istituzioni, di garantire e tutelare le posizioni giuridiche affermate per le finalità della famiglia nel nuovo quadro evoluto della società.
La normativa di cui alla legge 184, modificata e integrata con legge 149 del 2003 e legge 173 del 2015, mette al centro la tutela dei diritti del minore, i suoi rapporti affettivi e le garanzie di legge
“Nel provvedimento di affidamento familiare debbono essere indicate specificatamente le motivazioni, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario. Deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell'affidamento ed il servizio locale cui è attribuita la vigilanza durante l'affidamento con l'obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare od il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi del primo o del secondo comma”.
La normativa si applica alla fattispecie in cui il minore è senza famiglia. Gli istituti di disciplina sono l’affidamento e l’adozione, con le cautele, garanzie e le procedure in essa indicate.
L’art. 403 del cc riguarda la fattispecie dell’allontanamento del minore dall’ambiente familiare per fatti gravi che lo mettono a rischio. I provvedimenti vengono emanati dall’Autorità pubblica con le garanzie di legge nei confronti del minore e dei genitori.
L’allontanamento del minore dalla propria famiglia deve essere quindi l’intervento ultimo, dopo che siano stati esperiti tutti i tentativi per evitarlo. Deve essere inoltre provvisorio e limitato nel tempo. La legge 183 del 1984 parla di un tempo massimo di mesi 24, in cui le istituzioni debbono utilizzare tutto l’armamentario a disposizione per garantire i predetti diritti. Ritardi ed omissioni ricadono sullo Stato il quale ha dovuto subire le conseguenti sanzioni CEDU per violazione.
Interpretazione e direttiva del servizio studi della Camera.
Nel Servizio studi della Camera dei deputati, xvii legislatura, datata 25 febbraio 2017, compare una pagina di riferimento normativo della problematica con una specificazione di indirizzo.
La pagina riporta il quadro normativo che consente all’Autorità giudiziaria di “allontanare un minore dalla propria famiglia di origine, contenuto tanto nel codice civile quanto nella legge 184 del 1983 di riforma dell’istituto dell’affidamento e introduzione di quello sulle adozioni.
Le norme di riferimento del cc sono gli artt. 330 e 333 per i casi gravi e meno gravi.
Il servizio Studi ammette che “Il contenuto dei provvedimenti che il giudice può adottare non è indicato dalla legge, ma è rimesso al suo prudente apprezzamento. Si tratta, quindi, di un duttile strumento di protezione del minore contro le violazioni dei genitori non così gravi da imporre la decadenza della potestà”.
Segue il ragionamento in ordine all’art.330 collegato con l’art. 403 del c.c., sulla urgente necessità del provvedimento e sulla titolarità ad emetterlo, soffermandosi sul concetto di pubblica Autorità. Qui leggiamo” la pubblica autorità a cui fa riferimento l'art.403 del c.c., finisce, oggi, per coincidere con i servizi sociali locali, vale a dire con l’organo competente per l’affidamento familiare. In definitiva, l’art 403 secondo l’esperto del Servizio Studi si limita a legittimare provvedimenti di urgenza in presenza di una situazione di imminente pericolo per il minore”.
La direttiva continua: “l’autorità si rivolge, pertanto, ai servizi sociali per ottenere l’indicazione di persone o istituti idonei ad accogliere il minore e, di regola, li incarica dell’esecuzione del provvedimento.”
Il servizio studi del Parlamento non affronta il problema dei diritti collegati alla normativa in vigore. C’è di più. L’autore, probabilmente magistrato assegnato al Ministero, ha confuso il Concetto di Autorità pubblica locale, riconoscendola in testa ai servizi sociali, per la P.A, invece che a quella prevista dalla legge. Confusione o scelta di sottrarre la materia agli Enti territoriali? Secondo l’esperto ministeriale I Tribunali e i servizi sociali operano e decidono, in assoluta discrezionalità, sulla vita e sulla morte giuridica di un minore.
Affondando lo sguardo nelle righe del nostro Ordinamento giuridico, rinveniamo invece la corretta individuazione di autorità locale pubblica. Per la puntualizzazione viene in soccorso il R.D n.635 del 1940, Regolamento di attuazione del T.U di pubblica sicurezza n.773 del 1931, ancora vigente.
La specificazione prevista nell’art.54 del TUEL 267/2000, attribuisce la titolarità in testa al Sindaco (Sicurezza, protezione e ordine pubblico). I servizi sociali, per trasposizione delle leggi in materia sono considerati strutture operative degli Enti territoriali e di collaborazione con le altre Istituzioni pubbliche quando vengono chiamati a svolgere attività delegate.
I provvedimenti di allontanamento, sottoscritti dai servizi sociali sono nulli per legge e per altro non sanabili.
I provvedimenti in questa materia devono essere firmati dal Sindaco a livello locale a cui i servizi sociali, quando richiesto, devono inoltrare istanze e relazioni. Diversamente le proposte, nel caso di allontanamento precauzionale del minore vanno inoltrate al P.M, altra autorità competente ad emettere il provvedimento. In ogni caso alcuna iniziativa diretta di allontanamento può essere assunta dal Servizio o da altro ad esso collegato, trattandosi di provvedimento che limita e condiziona i diritti delle persone.
La prassi non sostituisce la legge, tranne che questa risulti carente, che in ogni caso va eseguita entro un procedimento regolamentato.
L’art. 403 del c.c. detta infatti … “La Pubblica Autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia”. Vuol dire che i provvedimenti devono risultare a monte di qualsiasi iniziativa, assunti a firma della pubblica Autorità. Il P.M o il Sindaco sono operativi, a disposizione, per legge 24 su 24 ore. Di questi deve risultare la responsabilità della decisione e di questi è la responsabilità di tutti gli effetti del provvedimento.
Secondo le linee guida del servizio studi le condizioni necessarie per emettere il provvedimento sono collegate ad una situazione di grave pericolo per la integrità psicofisica del minore. Condizione che deve essere accertata attraverso gli strumenti messi a disposizione dell’Autorità. Questa fase importantissima diventa il punto critico della validità del provvedimento. Qui entra in gioco “il prudente apprezzamento” che costituisce il termometro per una decisione a tutela di tutti i principi della unità della famiglia.
La dottrina ha individuato una serie di limiti all’intervento giudiziale, che in buona sostanza rendono pressoché impossibile adottare la misura di allontanamento.
Oggi l’istituto dell’allontanamento viene applicato in modo estensivo all’art 403 del cc. Senza alcuna distinzione delle fattispecie giuridiche, con la motivazione che la norma assicura “l’urgente necessità e la protezione dei minori anche quando un tempestivo provvedimento del giudice non sia possibile”. Siamo al sequestro legalizzato. Come si può pensare di mettere in sicurezza i figli dalla presenza di un genitore, quando invece lo Stato permette alle istituzioni di rapirli e isolarli senza alcun accertamento o verifica di controllo? Non costa di meno attivare servizi già remunerati, invece di sostenere elevati costi per collocare le presunte vittime in case rifugio, comunità o case protette, gestite attraverso una capillare rete di associazioni e istituzioni più o meno colorate? Nessuno pensa di dovere vigilare e tutelare il danaro pubblico che proviene dalle tasche di tutti i cittadini italiani che non condividono i predetti provvedimenti?
La Pubblica Autorità per prassi quasi consolidata ricorre all’art. .403 del cc, per motivi di urgenza, anche quando le condizioni di abbandono sono un fatto transitorio. La discrezionalità indiscussa apre le porte agli abusi procedimentali e a tutto ciò che ne segue. L’art. 403 viene applicato anche quando il minore “sia moralmente o materialmente abbandonato, quando sia allevato in locali insalubri o pericolosi, ovvero quando sia allevato da persone incapaci-per negligenza, immoralità, ignoranza o altri motivi-di provvedere alla sua educazione”. Tutti termini vaghi e generici la cui interpretazione è affidato ad operatori che decidono senza richiamare i parametri in base a cui viene misurata la capacità genitoriale, l’immoralità, l’ignoranza (in che cosa quest’ultima?).
Nella legge il legislatore del 1983 (legge 184) ha segnato obblighi di adempimenti a carico dei servizi sociali e della giustizia. Programmi, tempi, modalità condivise devono formare il progetto con la partecipazione dei genitori e dei minori per rimuovere, eventualmente, ostacoli e pregiudizi, condizioni previste per rapporti stabili della famiglia o tesi a renderla tale. Purtroppo nel nostro Paese rileviamo un uso distorto dell’istituto dell’allontanamento con evidenti abusi istituzionali conseguenti a prassi arbitrarie e discrezionali che non hanno alcun riferimento giuridico con il concetto di” inadeguatezza genitoriale”.
Sulla capacità genitoriale si è espressa gran parte della scienza e della letteratura giuridica. Ancora oggi alcuna definizione generalmente condivisa, è stata imposta in materia, per cui ogni ragionamento resta limitato ai soggetti operanti e alla loro capacità culturale. Oserei dire che in presenza di queste premesse e condizioni nessun tribunale è in condizioni di emettere un provvedimento di allontanamento corretto, giuridicamente valido.
Diventa faticosamente inutile qualsiasi tentativo di difesa. Il provvedimento urgente, per i presupposti fondati sul carattere generale della norma risulta difficilmente oppugnabile. Per questo il richiamo alla sua applicazione, nelle aule dei tribunali, diventa il mezzo per incutere paura e strumento per orientare la norma nella direzione voluta. Il minore finisce per essere sequestrato dal mondo del diritto e il genitore, colpito dal provvedimento, vittima di un ricatto indefinito.
Il provvedimento di allontanamento, senza la presenza delle parti, tratto in gran segreto, è un assurdo giuridico in danno della famiglia, della legge, della società MA SOPRATTUTTO CONTRARIO AL PRINCIPI DEL GIUSTO PROCESSO.
Le norme di riferimento all’allontanamento dei minori dalla propria famiglia e il loro collocamento in strutture esterne previste nel cod. civile (art 330 333 e art 403 vanno comunque applicate nel sistema ordinamentale del nostro diritto, combinate e coordinate con i principi della Costituzione, del diritto internazionale e con le norme di cui alla legge 184/2003, nel quadro giuridico finalizzato a salvaguardare e tutelare la famiglia. I motivi indicati dal legislatore, non sono insuperabili. La legge ha messo a disposizione strumenti, professioni e finanziamenti per correggere eventuali disagi e difficoltà.
L’urgenza non può essere richiamata se non è suffragata da documentate prove istruttorie. La valutazione dell’urgenza, quando si intaccano i diritti, non può essere attribuita ad organi e funzioni dei servizi. Soprattutto quando il paventato pericolo suggerisce un intervento tempestivo. Il problema è di tale importanza che L’autorità pubblica non può delegare ad” altri” specialmente se titolari di strutture case famiglia o interessate la valutazione delle condizioni per l’allontanamento del minore. Il caso dei fratelli di Roma, sequestrati e collocati in struttura segreta in Sicilia stravolge i valori della coscienza di qualsiasi cittadino, anche come monito di terrore nel caso dovesse accadere nella sua famiglia. Il caso del genitore circense crediamo che non faccia onore alla Giustizia.
La Giustizia e le Istituzioni pubbliche devono agire e decidere secondo norme certe e procedimenti corretti. Anche nel dubbio la legge va letta ed applicata per sostenere e consolidare il principio della famiglia, la sua tutela estesa a tutti i componenti fino a quelli possibili. Facciamo funzionare le istituzioni pubbliche, ma vigiliamo e controlliamo che queste non diventino un veicolo per riciclare modalità e mezzi per “fare soldi”. La cultura della ruota degli esposti ed abbandonati è stata definitivamente seppellita.
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