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Rapporto genitori-figli e percorso protetto in giudizio: le lacrime di un bambino non bastano più

Aggiornamento: 11 lug 2018

di Gerardo Spira

Del cosiddetto percorso protetto la legge non ne parla e nel DPR n. 616 del 1977 si parla in generale della materia dell’assistenza sociale affidata ai Comuni. La delega ne prevede la competenza disciplinare alle Regioni. Le leggi regionali pur intervenendo sul tema dell’assistenza sociale, lo hanno trattato in via generale sugli aspetti più marcatamente avvertiti, delegando ai Comuni l’organizzazione strumentale di supporto alle Istituzioni come la Magistratura. Non troviamo alcuna disciplina riguardante la tutela del minore nei rapporti con la famiglia e con i genitori separati o divorziati. Troviamo invece molto approfondito l’argomento sui minori dalla legislazione internazionale e da quella Europea come: La Carta delle convenzioni internazionali, le direttive europee, la Carta di Noto, le linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, la Scheda dei diritti umani, leggi e documenti che insistono sull’obbligo di prestare ascolto al minore, di rispettare la sua personalità e i suoi diritti. L’art 9”Convenzione dei diritti dell’infanzia O.N.U 1989 M.Y.” stabilisce che “il bambino deve mantenere relazioni personali e contatti diretti in modo regolare con entrambi i genitori, salvo quando è contrario al maggior interesse del bambino”. Dunque la convenzione privilegia due condizioni: le relazioni personali con entrambi i genitori e il superiore interesse del minore. Gli operatori ,giudici e servizi hanno l’obbligo di indirizzare le norme in tale direzione. E’ violazione di legge quando si toglie un genitore al minore. E’ un abuso quando si impone un percorso protetto al genitore col quale il minore vive ottima relazione e la giustizia si muove contro il suo superiore interesse. Che cosa è il percorso protetto ! È un cammino imposto, in spazi neutri, a sostegno dei diritti dei bambini e degli adolescenti al mantenimento della relazione con i genitori non collocatari. La legge non ne parla e neppure esistono normative di settore regionali o locali. Esistono dei protocolli, nati da una prassi di comportamenti giurisprudenziali che si sono consolidati nel tempo. Il percorso è tracciato in un protocollo che deve tener conto degli interessi del minore e soprattutto della relazione col genitore. E’ errato e pregiudizievole un percorso imposto al genitore che ha una normale relazione col figlio, perché viene alterato il concetto del rapporto vissuto precedentemente. Il tribunale ha l’obbligo di accertare questa circostanza, prima di disporre un percorso limitativo o condizionato della relazione vissuta tra il genitore ed il figlio. Quando poi sorge la necessità accertata concretamente che è utile ed importante il cammino, per avvicinare il genitore al figlio, il progetto non deve limitarsi ad una generica ed astratta dichiarazione di intenti, ma deve riportare la linea guida e concreta adatta al caso, con la metodologia da seguire. Poiché il provvedimento deve tendere alla riunione del genitore col figlio, corre anche l’obbligo della vigilanza dell’Autorità giudiziaria su: efficienza, efficacia e tempestività dell’azione dei servizi interessati. La tempestività è non solo un requisito di legittimità del provvedimento, ma una condizione fondamentale di vita e della finalità del provvedimento stesso. Ciò perché tutta l’attività giudiziaria deve tener conto della evoluzione rapida della persona del minore. Isolare un minore e allontanarlo dal genitore e non rimuovere subito gli ostacoli per rimetterlo nella condizione di vita normale ,comporta un danno grave ed irrepararabile al suo equilibrato sviluppo psico-fisico. Un protocollo molto dettagliato, certamente da maggiori garanzie di risultato rispetto a quello vago e generico. Quest’ultimo si presta più facilmente a criteri personali e discrezionali del funzionario, con le conseguenze comprensibili sui risultati. I Tribunali, nella quasi generalità, non richiamano il protocollo, ne dispongono il percorso, ma ne affidano il protocollo alla discrezione degli operatori per valutazioni e meriti che riguardano affetti, sentimenti e preoccupazioni genitoriali e relazioni. Il minore, invece deve essere posto al centro di qualsiasi discussione, interpretazione e interesse sociale. Nei conflitti tra separati, le liti si spostano su interessi o diritti di uno o di dell’altro coniuge, dimenticando il bene più importante che è il minore. Non si tiene conto che non è il minore a voler separarsi dai genitori, ma uno o entrambi i genitori. Qui è il nodo che la Giustizia minorile non ha saputo affrontare. La carenza di leggi è dovuta alla impossibilità di potere intervenire in una così speciale materia. Infatti nessun tribunale può decidere nella sfera affettiva del minore. Tribunali e Servizi sociali seguono prassi e riti generici e vaghi che portano ai risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Le decisioni sono il frutto di una buona o carente cultura familiare, ma che “passano in nome del popolo italiano”. Giudici ed operatori, quando non sanno trovare la giusta, corretta ed equilibrata decisione, compiono disastri familiari e giudiziari di cui non rispondono, i cui effetti ricadono su tutta la società. Il giudice ha l’obbligo di emettere provvedimenti chiari, con una direttiva precisa, per i servizi, indicando percorsi, luoghi e tempi per evitare protocolli fantasiosi, lungaggini e spesa incontrollata, soprattutto questa sostenuta per il mantenimento di strutture private. I Tribunali conoscono questa realtà, ma non fanno niente per evitarla. E’ più facile per il giudice imporre ad un genitore di attenersi ad un percorso protetto, senza un chiaro e preciso protocollo, che imporgli di stare col figlio e di continuare ad amarlo. Nel prima caso delega la funzione senza controllare, nel secondo caso ha l’obbligo di vigilare, di partecipare, di impegnarsi a ricongiungere la famiglia o favorire la relazione tra genitore e minore. E’ questa la contraddizione della Giustizia minorile. Le decisioni dovrebbero essere le conseguenze di fatti accaduti, accertati e non presunti, per soluzioni conseguenziali, mirate e chiare. Invece nella generalità dei casi dei programmi protetti, non si parla dei fatti e degli obiettivi ma della necessità di fare incontrare padri e figli in un luogo dove finiscono per giocare e non per approfondirsi, discutere, parlarsi, confidarsi nel rispetto del vincolo di sangue e della cultura familiare. Se un genitore artatamente si lamenta la Giustizia penalizza l’altro mettendolo a giocare col figlio, per un’ora al giorno ,per mesi e per anni. E gli altri aspetti più importanti del rapporto? Invece la scienza parla di relazioni per stimolare conoscenze tra due culture che devono muoversi per lo sviluppo equilibrato del minore. La Giustizia, invece di indagare per capire e assicurare il benessere del minore, sequestra il genitore, visto dal figlio come punto di riferimento e lo tiene in attesa di….La Giustizia è un valore assoluto che incute timore riverenziale tanto più, quanto più chi l’amministra trasfonde e trasmette sentimenti di certa e serena amministrazione. Quando ciò non accade, vuol dire che la legge ha subito una violenza, il cittadino è impaurito e le istituzioni hanno imboccato una strada molto pericolosa. L’arroganza della giustizia in tal caso si confonde con il concetto di un’altra gestita e amministrata da poteri forti occulti. Il cittadino si perde, si allontana e si abbrutisce nella scelta culturale.. Il minore è il bene più prezioso di una società. Quando lo Stato delega la cura dei diritti e degli interessi dei minori a rappresentanti e amministratori che li usano senza alcun rispetto per la loro dignità, ha voluto rinunciare al suo supremo valore di garante delle istituzioni e della democrazia. Assistiamo inermi ad abusi, persecuzioni, collusioni, concussioni e mercanteggio di innocenti perché lo Stato non esiste e la GIUSTIZIA viene amministrata in nome del popolo italiano.

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