Avv. Gerardo Spira
“Mi sono occupato di Ndrangheta per anni, ma questa inchiesta è umanamente devastante”. Così ha commentato i fatti di Bibbiano il Procuratore capo di Modena.
Lo sconcerto della frase ha provocato una rivolta incontenibile della mia cultura giuridica, prima ancora di quella umana, conoscendo come si arriva a queste situazioni, chi vi è coinvolto, chi provvede e dove sono le responsabilità. Tutti tacciono quando i crimini restano dolosamente soffocati sotto la cenere. Tutti farneticano quando poi questi, anche per strane coincidenze, scoppiano e invadono il mondo dell’informazione. Quando ciò accade, riemerge la frenetica corsa a cercare le responsabilità. Qualcuno invece si sofferma sulle conseguenze alle persone e sul danno alla Società. E, come sempre accade, chi è senza protezione o è ultimo della filiera, diventa il capro espiatorio. Chi ha il potere più forte se ne avvale e punta l’indice con frasi che servono a distrarre dal gravissimo problema. I fatti accaduti nella Regione Emilia, ancora in embrione, hanno fatto riemergere nella mia memoria, chissà perché, la storia del piccolo Di Matteo, sciolto nell’acido dalla Mafia il 23 gennaio 1981. Gli effetti distruttivi psicologici hanno la stessa valenza. In questo Comune i figli degli altri, che si continuano a chiamare minori, sono stati maltrattati, torturati e sottoposti a pratiche, di inaudita criminalità. Il piccolo Di Matteo, che mi è rimasto nel cuore e nell’animo, con l’immagine del cavallo, è stato vittima di un’atroce e disumana vendetta, non protetto dalla società legale. I figli di Bibbiano hanno subito violenze dalle istituzioni, da coloro che avrebbero dovuto proteggerli e considerarli come figli propri. La società che li ha strappati ai genitori e alla famiglia, con mascherati provvedimenti di affidamenti ha disposto il loro internamento presso una struttura, che agiva con il consenso istituzionale, soggiogandoli, attraverso un modus operandi, ad un fine contrario alla legge. Questa cultura si permette poi di alzare le bandiere e i vessilli della falsa civiltà difronte al drammatico fenomeno delle morti per annegamento nel mare nostrum di tantissimi bambini.
Eludo le notizie riportate nell’inchiesta di oltre 300 pagine. Il Gip definisce le pratiche torture indelebili. Il risultato porterà ad effetti devastanti nel futuro della vita di quei ragazzi.
Stampa, Radio e Televisione, che si sono interessati del problema, in via marginale, dopo l’esplosione dei fatti di Reggio Emilia hanno aggredito la notizia, aprendo il palcoscenico delle informazioni con la sfilata di Ministri, e sottosegretari di turno, meravigliati, come se tutto fosse accaduto in una camera iperbarica di una struttura ospedaliera. Invece tutto il popolo interessato lo sapeva, ha sempre denunciato ed ha accettato la condanna all’isolamento, per la minaccia, che si sente ripetere nelle aule istituzionali, della sottrazione definitiva dei figli.
Noi invece pensiamo di dovere alzare il grido della protesta contro tutti coloro che ora si ergono a paladini di difesa della morale e della famiglia. Noi riteniamo di dovere additare e denunciare l’ipocrisia di quanti hanno avuto ed hanno nelle mani il destino di tanti figli che quotidianamente cadono nella rete di un sistema costruito diabolicamente per fare soldi sulla sfortuna di povera gente, usata per impinguare il portafogli di professionisti del crimine del terrore, col compiacente contributo di responsabili delle istituzioni, coperti dal concorso amico di chi ha accolto il suggerimento ed ha disposto il provvedimento di affidamento.
La Responsabilità, nel procedimento pubblico, non è mai isolata. Questa coinvolge tutti coloro che direttamente e indirettamente partecipano al percorso del provvedimento di affidamento.
Da questo angolo intendiamo guardare il problema senza peli sulla lingua della logica del diritto e della legge.
Vediamo dunque che cosa è l’affidamento del minore, quando scatta, per quali finalità e quando deve cessare.
Sulla portata dell’istituto si sono accapigliati illustri giuristi ed eminenti professori, ormai da tempo, nel tentativo di dare piuttosto una chiara risposta giuridica al termine, affidamento, invece che agli effetti che lo stesso ha determinato e determina nella vita reale. Come sottrarre un minore in modo corretto, questo l’impegno profuso e non quali effetti produce sulla famiglia e sulle persone un provvedimento di affidamento. Questo secondo noi è invece il tema di discussione.
Eppure con la legge 184 del 1983, legge distratta dalla sua finalità, il legislatore ha segnato scopo e finalità intorno a cui tutto il sistema dell’affidamento doveva ruotare.
All’art. 1 troviamo scritto: “il minore ha diritto di essere educato nell’ambiente della propria famiglia”. Dunque il legislatore ha stabilito che la propria famiglia è il luogo ideale in cui avviene la crescita e l’educazione del minore. Ciò in perfetta coerenza con il principio stabilito all’art. 2 della Costituzione che riconosce la famiglia come ambito in cui l’uomo svolge e matura la sua personalità.
La famiglia è una struttura riconosciuta con le sue regole e le sue consuetudini che lo stato è tenuto a rispettare e a non sconvolgere. Il superiore interesse del minore non deve staccarsi da quello della famiglia, perché entrambi convergono in usa sola direzione, quella dell’unità e dell’equilibrio del nucleo. Sbaglia il giudice che lo usa come gradino di valore per distaccarlo dai suoi membri. Superiore interesse dei minori nel conflitto di famiglia, vale a afforzare il principio dell’unità. Nel conflitto, prevale l’interesse dei figli rispetto a quello dei genitori in discussione. Ma soltanto per ricordare che il conflitto si esaurisce di fronte al prevalente interesse dei più deboli. Ciò non vuol dire rompere l’equilibrio degli impegni e degli obblighi di entrambi i genitori. Essi sono e restano tali anche dopo la separazione. I provvedimenti che separano i figli dai genitori intaccano il principio dell’unità familiare e costituiscono lo strumento più violento nel futuro della vita del minore.
Dunque, l’affidamento è ritenuto dalla legge uno strumento di speciale importanza per garantire una crescita sana ed equilibrata del minore. Il suo uso va impiegato con accorto, studiato e finalizzato impegno nel tempo del disagio del nucleo familiare, al solo scopo di recuperare e riequilibrare la situazione critica, mantenendo in vita tutto il sistema di vita della famiglia. L’impegno delle istituzioni deve essere di supporto e non sostitutivo di funzioni che esistono e sono presenti. Il costo delle operazioni di sottrazione sono enormemente superiori a quello sostenuto per superare il momento.
L’affidamento è infatti temporaneo ed in casi di estrema necessità ed urgenza, al massimo per mesi 24. Il termine ha un significato di grande importanza per la legge. Le istituzioni al termine o hanno fallito e l’impegno deve essere documentato oppure hanno assolto positivamente il compito.
Quando si apre la fase dell’affidamento!
Questa scatta nel momento in cui la famiglia attraversa una situazione temporanea di disagio. Fase di particolare attenzione in cui lo Stato presta tutto il suo impegno con figure e persone dedicate allo scopo. Assistenti sociali, psicologi, tribunale, il giudice tutelare.
Quando l’affidamento è deciso con l’accordo dei genitori, i servizi sociali emettono il decreto, provvedimento amministrativo, sottoposto al vaglio del giudice tutelare per l’esecuzione. Sulla natura del predetto provvedimento si sono spesi fiumi di pensieri che lo lasciano nel dubbio della legittimità costituzionale. Comunque l’atto amministrativo conferisce al giudice tutelare il potere di vigilanza e di controllo su tutta l’operazione fino alla sua conclusione. Nell’articolato n.4 della legge 184 è ben chiara la responsabilità del G.T., sia nel potere di controllo che in quello sostitutivo.
Nel caso di conflitto familiare, è il tribunale a decidere sull’affidamento. Qui si apre un ventaglio di discussioni che purtroppo non risultano favorevoli alle decisioni adottate in materia dai Tribunali. Il risultato fallimentare è sotto gli occhi di tutti.
La materia è complessa, ma noi non intendiamo disperdere il filo sulle responsabilità, proprio quando il minore, in casi estremi, debba essere collocato in luogo diverso da quello della propria famiglia. Il legislatore parla di famiglia, perché solo in questa il minore può sviluppare la sua crescita e i suoi rapporti, in regime di sicurezza con il sistema dell’Autorità, il padre, la madre, i nonni, gli zii etc. “Il ricovero in Istituto è consentito” dice la norma” (2° comma dell’art 4). Vuol dire che prima di giungere all’estrema ratio devono essere tentate e percorse tutte le strade che portano all’affidamento del minore all’interno della famiglia. I genitori nel caso di affidamento consensuale ed in quello autoritativo del tribunale, restano titolari dei poteri inerenti alla istruzione e alla educazione, per cui la loro volontà e capacità, ameno che non vengano esautorate con motivazioni validamente documentate, hanno fondante rilevanza giuridica in quanto toccano i diritti personali dei soggetti interessati.
Dunque esiste nella legge il filo logico-procedimentale che non si stacca mai dalla responsabilità dei soggetti individuati e riconosciuti responsabili delle decisioni e quindi delle conseguenze e dei risultati finali.
Quando scoppiano situazioni, come quelle di Bibbiano, bisogna andare fino in fondo e procedere alle restrizioni personali di tutti coloro che hanno disatteso la legge, falsificato atti e documenti e non hanno vigilato e controllato. Il pacchetto dell’operazione coinvolge più soggetti e per ciò stesso la loro responsabilità che, in associazione concorrente, determina il più odioso dei reati, quello della sottrazione criminale dei figli degli altri.
Per questo non vanno scusati né nomi, né funzioni, né fasce tricolori e né toghe.
Quando la GIUSTIZIA ha il coraggio di esprimersi con tanta forza, riceverà non il plauso rumoroso del battimano, ma l’eterno riconoscimento di piccoli inermi soggetti, segregati e maltrattati in luoghi inaccessibili, dichiarati anche segreti, come affari di stato. Non è così! In quei luoghi accadono fatti incredibili e chi li dichiara segreti, ne assume responsabilità personale, che di fronte all’evidenza denunciata va arrestata. L’isolamento e l’internamento di un figlio non può restare un fatto segreto, perché il genitore e la famiglia non sono affari di Stato, ma gli unici soggetti titolati a decidere e a sapere dove sono stati “deportati” i minori.
L’arresto in tali casi significa fermare una cultura pericolosamente pregiudizievole e dannosa alla vita di persone usate per scopi diversi dalla legge.
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